Tintin è uno di quei ricordi d’infanzia che non ti togli più di dosso. Pur senza identificare tutti i personaggi protagonisti dell’epopea, come scordare la famosa canzoncina (“Tintin, Tintin, ricoprimi di baci / Tintin, Tintin, assaggia e poi mi dici”), il baffo pacioccone, le ragazze a cui non ti riusciva di spostare lo sguardo dagli occhi (hai scoperto solo poi che quella roba lì non si chiama occhi)… Orpo, dalla regia mi comunicano che ho fatto un po’ di confusione. Scusa Smaila, amici come prima, ochei?
Ripartiamo.
Meno di un anno fa sbavavo come una lumaca al pensiero del film di Tintin (Le avventure di Tintin: il segreto dell’unicorno) scritto a sei mani da una sorta di Trinità Pagana (Wright, Moffat e Cornish). Un anno dopo quel film l’ho visto (bombissima) e mi sembra giunto il momento di fare una bella sguazzata nella fonte di cotanta meraviglia. E quindi, via, pronti a reperire i primi volumi della saga nella ristampa da collezione della Rizzoli Lizard (vedi anche alla voce: lanciare dei segnali inequivocabili di interesse alla signora in Polenta e Computer in vista del compleanno).
Grandi pro dell’edizione: brossura, buona qualità della stampa, della carta e della rilegatura, il tutto ad un prezzo abbastanza ragionevole (oh, se non si è capito, a me li hanno regalati, quindi il prezzo non può essere più ragionevole di così), l’impostazione grafica di queste nuove copertine mi piace così tanto da farmi desiderare di abbracciare il grafico responsabile (sarebbe meglio se fosse una grafica [maliziosetti, niente n nella parola grafica]).
Contro: stai facendo un’edizione per i collezionisti e non metti neanche dentro le copertine originali? Qualche bozzetto, qualche materiale preparatorio, qualche prova grafica, un po’ di apparato redazionale di approfondimento? Niente niente niente? Vabbé, sopportiamo.
Il volume comprende le prime due avventure del reporter belga e del suo cane Milou: “Tintin nel paese dei Soviet” e “Tintin in Congo”.
Svisceriamo? Svisceriamo.
Tintin nel paese dei Soviet
È la prima storia del reporter dal ciuffo ribelle e i difetti non mancano. I disegni son piuttosto approssimativi (nelle prime tavole Tintin si riconosce a stento) e la storia è tenuta su con lo sputo (e sono generoso). Fresco di esperienze fumettistiche sovietiche, non mi sono stupito nel trovarmi di fronte ad una storia furiosamente anticomunista (tutti i soviet sono spie, traditori, militari contro Tintin sempre pronti a fargli imboscate), quanto piuttosto alla serie rocambolesca di avventure in cui riesce a cacciarsi il giovane reporter. Non passa pagina in cui Tintin non sia su un veicolo diverso o non sia rapito e/o in fuga e/o vittima di un attentato. Uno dei momenti migliori e decisamente il più pericoloso degli attentati è quello effettuato con la temibilissima buccia di banana, che sicuramente è una minaccia per l’incolumità dell’osso del collo di un capitalista (anche se quando si rivolta contro all’attentatore sovietico, si risolve in una botta di culo [ma non quella che fa vincere al superenalotto]).
I momenti sinceramente drammatici (le elezioni per alzata di mano – e chi non vota comunista viene sparato) si alternano a scenette grottesche (la recita per i socialisti inglesi fatta da 2 attori di numero dentro una fabbrica, assoldati per fare rumore e fingere produttività).
C’è pure il momento McGyver (Tintin che da un cumulo di rifiuti costruisce un auto), il momento in cui trova in cella accidentalmente uno scafandro (altro momento un po’ McGyver), il momento horror alla Scooby Doo (quando si traveste da fantasma per spaventare i bolscevici).
In sostanza, non c’è una vera e propria storia, ma un caleidoscopio di situazioni assurde, improbabili e avventurose.
Tintin in Congo
Il prode reporter, accompagnato dal fido Milou (capito il calembour? Fido come nome di cane, ma anche perché fidato! Che mattacchione so essere!) viene inviato (ancora calembour! Sinonimo di giornalista e participio passato di inviare. Magggico!) in Congo (Congo nel senso di… ehm, no, Congo quello vuol dire).
Se uno fa una ricerca in rete relativa alla storia, si troverà di fronte un sacco di accuse di una visione molto razzista da parte di Hergé della popolazione Congolese. Diciamo che il politically correct non era proprio in voga negli anni in cui la storia è stata scritta (la tribù dei Babàalrum? SRSLY? Marisa Laurito si starà rivoltando nella tomba [lo so che è ancora viva] assieme al suo babà che è una cosa seria).
Comunque: qui, a differenza dell’episodio precedente, si riesce ad intravedere una sorta di trama (e i disegni sono a colori! E il tratto migliora [ringraziando Iddio]!), seppur piuttosto esile. Tintin va in Congo, fa le cose che fanno gli abitanti del Congo (tipo fare un foro sulla corazza di un rinoceronte, imbottirlo di esplosivo per farlo ESPLODERE!!!), diventa maestro part-time più precario di un insegnante in Italia nel 2012 (un missionario gli chiede per favore di fare il maestro per una classe e lui parte subito interrogando [supplenti bastardi!] e va a finire con un leopardo che mangia un cancellino [che tanto in Africa non hanno problemi nel reperire il materiale didattico]). Risolve un attacco di un serpente facendogli mangiare la coda (Uroboro anyone? Ma vuoi vedere che i Turbonegro stavano citando Tintin nella copertina di “Scandinavian Leather”?) e usa una calamita per deviare un attacco a base di frecce, giusto in tempo per scoprire che dietro c’è tutta una macchinazione di Al Capone per ucciderlo. E insomma, non fa neanche in tempo ad andarsene che l’intera Africa sta parlando di lui.